Incino 1

Caratteristiche del percorso

Lunghezza: 3,97 km Dislivello positivo: 452 m Dislivello negativo: 447 m Durata: 1h30 – 2h00

Inquadramento

Ci troviamo nel Comune di Arsiè in una delle parti più occidentali della provincia di Belluno, in corrispondenza del tratto terminale del Torrente Cismon prima della sua confluenza con il Fiume Brenta. Qui il torrente torna ad incunearsi fra le rocce scavando una profonda forra compresa fra gli articolati versanti occidentali del Massiccio del Grappa e quello meridionale del Col del Gallo dopo aver scorso fra le ampie piane di Fonzaso. Incino, borgo rurale storico di grande bellezza, è posto all’estremo occidentale del lago del Corlo, al confine tra il comune di Arsiè (BL) e il comune di Cismon del Grappa (VI). Fa parte di un insieme di piccoli nuclei rurali o gruppi di case poste a quote differenti: Tanisoi (340 mt s.l.m.), Case Battiese (690 mt), Ai Prai (670 mt), Casere (570 mt) e Case Martinatto (466 mt). Incino sorge in una fascia sopraelevata rispetto al fondovalle compresa fra circa 300 e 400 metri di quota. Il percorso proposto permette di compiere un anello che partendo dal paese raggiungerà alcuni punti panoramici e molti punti di interesse.
Dalle zone attraversate dall’itinerario ci si affaccia quasi a sbalzo sulla vicina Valsugana, dove scorre il Fiume Brenta nella direzione di Bassano del Grappa. Da Incino si ha anche la percezione della mole del Monte Grappa, articolato e vasto massiccio candidato recentemente a diventare Riserva dell’Uomo e della Biosfera (MAB UNESCO). La vicinanza al Grappa rese Incino prossimo anche alle vicende storiche della Grande Guerra che in quegli anni portò distruzione e miseria in tutta l'area.

SINTESI DEI VALORI

Incino è un piccolo borgo rientrante nella galassia degli agglomerati essenziali, qualche casa e qualche stalla, disseminata nel territorio di Arsiè. Siamo in un contesto rurale di media montagna prealpina. Questo insediamento si colloca sullo spallone destro della gola del Torrente Cismon sbarrata nel 1953 dalla diga del Corlo. È un insediamento abbarbicato sulle rocce subaffioranti che concedono un terreno magro e difficile in fasce oggi per lo più ricoperte da boschi. La particolare esposizione ha permesso nei secoli lo sviluppo di coltivazioni lungo il pendio che venivano organizzate in terrapieni terrazzati sui quali prendevano corpo orti, filari di vite e frutteti.

Di queste coltivazioni restano oggigiorno sparuti e resistenti residui dove non si è ancora espanso il giovane bosco di latifoglie ricco di faggi e dove i pochi abitanti rimasti mantengono ancora il presidio e alcune tradizioni. Oggi il borgo è quasi totalmente abbandonato, ma non lo era fino al 1960, quando qui risiedevano oltre 500 persone. È uno spezzone di storia rurale bellunese congelato e invecchiato bene, anche se ormai in parte invaso dalla vegetazione.

Il sentiero sale da Incino verso località Ai Prai (655 m) seguendo i percorsi rurali utilizzati in passato per raggiungere le coltivazioni e le casere. I pregevoli muri a secco che delimitano le antiche proprietà e costeggiano il sentiero sono silenziosi testimoni della caparbietà, della profonda conoscenza del territorio e dell’ingegno degli abitanti che li costruirono. La vicinanza a importanti e strategiche vie di comunicazione non ha preservato questi luoghi dall’abbandono: terrazzamenti e ruderi invasi dal bosco stridono oggi con i rumori delle attività del fondovalle. In alcuni casi tuttavia si vedono ancora i cultivar tipici della zona, mantenuti da chi ha deciso di non abbandonarli restando tenacemente qui a vivere o tornandoci saltuariamente per riversare le cure che non si negano mai ai morenti. Le antiche costruzioni per lo più in sasso e legno sono monumenti alla memoria di una società che sapeva far fronte alle difficoltà e all’essenzialità imposte dalla vita in pendenza. Si nota la presenza di qualche filare di vite, un tempo molto più numerosi, e una varietà impressionante di alberi da frutto, di diverse specie (melo, pero, fico, susino ecc..) e di diverse varietà della stessa specie. La biodiversità coltivata era sicuramente ricercata ed apprezzata, naturalmente in funzione di migliorare la difficile sussistenza. In questo modo infatti, lo stesso frutto di varietà diverse con tempi di maturazione diversi si rendeva disponibile in momenti diversi della stagione. I vitigni ancora presenti sono lavorati e in qualche caso sfruttati, cosa davvero eroica per quota e collocazione.

A Incino il tempo sembra essersi fermato

Concedendosi una silenziosa sosta immersi fra le case e le vie si riesce ad immaginare che chi sceglieva di rimanere qui a vivere poteva riuscirci solo facendo leva sulla costanza, l’ingegno, la lentezza, l’attesa e la solidarietà. Per vivere qui si deve conoscere l’arte della resistenza e della capacità di respirare con le stagioni. Sprofondati nel silenzio viene facile immaginare i suoni dei lavori alle diverse ore del giorno e del tranquillo scorrere del tempo cadenzato dai rintocchi diffusi dal campanile.

LISTEN Un estratto del paesaggio sonoro che poteva essere vivo ad Incino qualche tempo fa: