Sovramonte 2

r-ESISTENZA

Difficile pensare che questi boschi abbiano potuto essere scenari di accadimenti violenti legati delle guerre del passato. Purtroppo però in quasi ogni luogo del mondo percorrendo il tempo a ritroso si incontrano innumerevoli conflitti derivati da momenti di crisi che misero in difficoltà la vita. Dei momenti di crisi e dei conflitti è sempre bene portare memoria, ma, ancor più, è bene portare memoria delle dinamiche di pace e equilibrio che avvengono in risposta, per resistenza. Molti conflitti del passato sono caduti nell’oblio, ma non l’ultimo qui occorso. Fra questi luoghi si respira ancora l’onda lunga degli eventi che videro l’Italia, soggiogata dal fascismo e dall'occupazione tedesca, diventare protagonista di una non facile Resistenza. Durante la fine della II° guerra mondiale, il territorio si vedeva conteso fra le truppe residuali di italiani fedeli al regime fascista rafforzate da quelle degli ex alleati tedeschi, le guarnigioni di neo alleati in avvicinamento, e le truppe partigiane della Brigata Gramsci. Per i montanari di queste zone la situazione era molto pesante e si videro immersi in qualche cosa che non avrebbero voluto.

Darsi alla montagna

I partigiani si diedero “alla montagna” cercando una dimensione mimetica fra le alture, immersi nella clandestinità, raggruppati in sempre più organizzate compagini. Fra queste rocce profondamente incarsite era possibile trovare nascondimento quasi totale in un rapporto di continuo scambio fra le intenzioni guerrigliere e le morfologie delle Buse e delle depressioni carsiche. Le truppe irregolari asserragliate fra le montagne furono cercate, attaccate e a volta stanate dai naturali nascondigli che la montagna concedeva. Quando i combattenti non venivano intercettati si mettevano sotto assedio i paesi facendo subire alle popolazioni violente rappresaglie. Furono in molti i sovramontini che abbracciarono la causa della Resistenza. Per la maggior parte il motore non fu l'appartenenza politica ma lo spontaneo rifiuto della dittatura ora sostituita da ideali pacifisti e progressisti. Così molti giovani imbracciarono il fucile e molte donne presero il ruolo di staffette. Spesso la motivazione era fortemente etica e per questo si seppe far fronte a incredibili privazioni e sofferenze contribuendo ad instaurare una società più libera e più giusta.

Montagna unica vera e dura alleata

La montagna offriva nascondiglio, riparo, riferimento di privilegio, in quanto si poteva essere incisivi anche in pochi godendo della conoscenza del territorio e del pinnacolo strategico da cui sparare senza poter essere subito messi in difficoltà. Qualunque incursione dal basso era estremamente pericolosa per chi la svolgeva. Se ben piazzati i partigiani potevano tendere agguati o arretrare in anticipo, schivando il rastrellamento. Ciò nonostante avvennero confronti con tragici epiloghi come al Crot dei Schei (5 agosto 1944) dove si ricorda la fucilazione di un boscaiolo di San Gregorio nelle Alpi. O alle Boscaie, avamposto dell’insediamento partigiano di Pietena dove sorgeva la Palazzina Bellati incendiata dai tedeschi durante un brutale rastrellamento il 9 Agosto 1944. Nelle vicinanze sui ruderi di una casera si trova ancora la lapide dedicata ai fratelli partigiani di Aune Giovanni e Caterina Facchin (“Primavera” e “Gloria”), qui trucidati. Dai brevi cenni di cronaca riportati si intuisce che durante questi terribili anni da queste parti venne praticata la caccia alle persone umane. Le forze messe in campo da tedeschi e fascisti per contrastare la Resistenza in questo ed in altri luoghi furono consistenti, l'organizzazione militare e gli armamenti erano sicuramente superiori a quanto in dote alle forze partigiane. La montagna aiutava la Resistenza e la caparbietà partigiana fece il resto. Sulle alture del Pietena i partigiani erano circa mille, la Brigata Gramsci fu una delle più attive e organizzate di questo tratto dell'arco alpino. Restano anche segni della presenza tedesca, basti pensare alle fortificazioni (grotte bunker) scavate dalle truppe germaniche per impedire l’avanzata degli anglo-americani.

Il rogo della fenice

Aune fu bruciata per rappresaglia l’11 agosto 1944. Dopo alcuni scontri fra truppe tedesche e partigiani dove trovarono la morte dei soldati hitleriani, scattò la rappresaglia. Quando si brucia un paese si vuole mettere in ginocchio la popolazione. Dall’oggi al domani ci si trova senza casa, senza quei riferimenti fatti di angoli, prospettive, visuali, passaggi, incontri che restano fra gli ingredienti base dell’identità di una persona o di una comunità. Spazzare via un paese è infliggere un duro colpo alla psicologia dei singoli e della collettività. Non vinte però, le comunità locali ricostruirono i paesi distrutti, così come li ricordavano, a mente fresca e con la voglia di non sopperire sotto la morsa dell’imposizione e il peso dell'orrore. Una sorta di rinascita della fenice che si ravviva dalle sue stesse ceneri. Uno spirito resiliente che si esprime nel dare corpo alla comunità e che ha origine dalla natura che ancora oggi ci abbraccia. Natura sempre diretta da logiche di scambio, connessioni ed equilibri che generano rigogliosità, selezione e rinnovamento. Il tutto basato sulla capacità di adattamento. Da questa generatività rinnovata e trasformata in equilibrio dinamico nasce la bellezza e l'identità dei popoli delle Terre Alte. Il ritorno al Passo di Croce d'Aune attraverso la boscosa e inevitabilmente bella Valdonea permetterà le dovute riflessioni.